La Biccuta |
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Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI |
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Ero impaziente, nonna m'aveva promesso i panetti di farina di granturco coi fichi secchi, le noci e l'uvetta; sin dal mattino ogni fase del riscaldamento del forno, seguivo curioso all'intorno.
Per accertarsi, che la temperatura giustamente alta fosse, dei fili di paglia sul piano del forno gettava: se s'incendiavano, o divenivano neri, troppo elevata era; attendere, allora, doveva che si abbassasse e la paglia al bel colore bruno virasse.
Dopo un'ora di cottura, la biccuta era pronta; l'ago infilato nella pagnottella era ritornato asciutto. Un odore, un sentore di buono, di caldo ,di santo un sapore verginale, la gialla filetta spandea. La panaria fermentazione e la dorata crosta, insieme, in subitanei aromi s'eran fuse. Ogni acino d'uvetta e pezzo di fico l'assaporare più prezioso rendea; nella mia memoria, incancellabile, della natural lievitazione, la fragranza s'incidea;
stupefacente e dimenticata ricchezza, quasi perduta, ormai, nei meandri, dell'umana sregolatezza.
Quella dolcezza di pastosa granulosità , sapea d'Italia, sapea d'antico, con viva sincerità. .
Castelplanio 23.08.02
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