La sala della rocca

Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI

 

 

Per prepararci agli esami di ammissione alla scuola media seguimmo un corso sotto la direzione della maestra Adria.

L'atmosfera era piacevole per la presenza di nuovi compagni di studi e il programma didattico avvincente.

A coronamento e completamento del corso, con nostra gran sorpresa e gioia, la maestra organizzò una breve recita presso la sala della Rocca.

Il soggetto della rappresentazione era tratto dall'allora famosa canzone “I pompieri di Viggiù”.

Iniziammo, pertanto, a fare le prove nell'improvvisato teatro.

Ricordo ancora lo stupore nel trovare nel castello una sala adibita all'intrattenimento teatrale.

L'inaccessibile Rocca, infatti, era, per noi bambini, sinonimo di congiure, cruente difese ed assalti ardimentosi con elevato spargimento di sangue.

Nel castello di Frontone, invece, c'erano dei momenti di straordinaria allegria e convivialità , non disgiunti da una rigorosa solennità coincidenti con le visite dei duchi di Urbino e i conti della Porta di Gubbio.

Dal 1530, com'è noto, Frontone divenne contea e pur avendo tutti i diritti statutari, il conte era tenuto a riconoscere la sovranità e l'alto dominio del duca d'Urbino.

Ordinariamente il conte risiedeva a Gubbio ed ogniqualvolta veniva a visitare il suo feudo, doveva essere accolto ufficialmente dal Capo Priore ( Sindaco ), dal Vicario e da altri ufficiali. 

Nell'allestimento del banchetto i tavoli erano disposti a ferro di cavallo e la posizione era riservata all'ospite illustre.

I muri erano decorati con bandiere e festoni, i tovaglioli erano modellati secondo la forma del personaggio principale dello spettacolo, sulla tavola comparivano pavoni ed altra selvaggina cotti e ricoperti di piume e delle penne della coda aperta a ruota.

Tra una portata e l'altra una folla di musici, giocolieri e attori trasformavano il banchetto in un complesso evento conviviale.

 

La lista delle portate era abitualmente composta di:

 

  • “antipasto” a base di carne fritta, insalata, interiora degli animali, capperi, carote, cipolle cotte e gelatine varie;

 

  • “maccaroni” ottenuti impastando con acqua bollente farina, uova, pane grattato, olio d'oliva e zafferano;

 

  • “lasagnole” erano dei rettangoli di pasta cotti nel brodo posti in una teglia, alternati a strati di carne di volatili o selvaggina e salse di vari tipo;

 

  • “minestra d'asparagi”, preparata dopo avere fatto bollire la verdura in acqua salata e poi posto in un brodo grasso con una fetta di prosciutto.Si aromatizzava il tutto con pepe, zafferano e cannella. A parte erano fritte delle fette di pane, un po' abbrustolito, in un battuto di lardo e su queste, dopo averle poste nel piatto, si versava la minestra;

 

  • “pasticcio di coniglio nostrano”.Lasciato intero e privato delle interiora,veniva farcito con un ripieno costituito da:lardo battuto, prosciutto, fegato di coniglio, menta, maggiorana, prugne e visciole secche, uva passa, pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, tuorli d''ovo e sale. Completato il ripieno e cosparso esternamente con la stessa composizione aromatica di spezie, il coniglio era posto in un tegame fatto a forma di navicella, ricoperto con fette di lardo e poi cotto al forno.

 

  • “capretto, agnello, porchetta”.In questo caso la farcitura era costituita da:fegato pestato, uva passa, formaggio grattugiato, un po' di zucchero, spezie , erbe oliose, tuorli d'uovo, strutto, sale, aglio, visciole e prugne secche e finocchio.

 

  • ”Ferlingotti”, per ottenerli si mescolavano: formaggio grattugiato, mollica del pane (precedentemente ammorbidita nel latte di Capra), uova, zucchero e farina. Con questo impasto si forgiavano delle frittelle che venivano fritte nello strutto di maiale ed ancora calde ricoperte di zucchero;

 

  • “crostate e calcioni”.La pasticceria dei pranzi rinascimentali era dominata dalla presenza di mandorle, pinoli, uva passa, ricotta, miele, zucchero e formaggio grattugiato.

 

  • “formaggio”. Il pecorino nostrano era molto apprezzato in abbinamento con il melone.

 

  • “vini”. Tra i bianchi primeggiava il Verdicchio, mentre tra i rossi dominava l'incomparabile Vernaccia. Il Moscatello, invece, soprattutto nella forma passita, completava l'abbinamento con i dolci.

 

A questa complessa organizzazione presiedeva il “maestro di casa” che si avvaleva della collaborazione dei cuochi, dei trincianti, dei coppieri e dei camerieri.

I trincianti erano indispensabili poiché, in quell'epoca, le forchette non erano ancora entrate in uso.

 

 

 Castelplanio 18.02.04

 

 

UN VIOLENTO REFRIGERIO

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LO SPIAZZO DEL CASTELLO