Addio Valpiana

Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI

 

 

L'amore tra Toto e l'Annetta era sbocciato all'improvviso il giorno della tradizionale fiera di mezzo agosto.

Impacciati nei loro abiti striminziti, e intimiditi dal gran chiasso, come stralunati, stavano dietro le sottane delle rispettive madri.

S'incontrarono, per caso, presso la bancarella dei tessuti e delle confezioni; avevano entrambi bisogno di rinnovare il loro ormai inadeguato guardaroba.

Le madri si conoscevano, ma la distanza delle frazioni in cui abitavano (una a Cà d'Guido e l'altra a Fusalara) ne aveva ridotto la frequentazione e con essa la possibilità di ricordare la gioventù insieme trascorsa.

Con gioia tuttavia, si riabbracciarono.

I figli, come liberati dalla loro contenuta timidezza (passavano la maggior parte del tempo soli, a pascolare le pecore), approfittarono del lieto incontro tra le madri per fare amicizia. 

Terminata la scelta dei vestiti, chiesero il permesso di visitare la fiera.

Non erano più nell'età dei giocattoli ma, per non averli avuti al momento giusto, si fermarono, lungamente, presso la relativa bancarella.

Fu poi la volta dell'acquisto dei gelati.

Toto, per procurarsi qualche spicciolo aveva raccattato delle noci cadute dagli alberi e, mettendole sotto terra, per privarle del mallo, ne aveva potuto anticipare la vendita.

Fece il cavaliere ed acquistò da Gusto, che veniva da Pergola con una gelatiera montata su di un triciclo, due bei gelati.

Era una delizia sopraffina, vista dalla scarsità dei dolci nella maggior parte delle case di Frontone. 

Le castagnole a Carnevale e il ciambellone a Pasqua, infatti, non potevano certo saziare la golosità dei giovani e meno giovani. 

Le bancarelle da visitare erano tante e, mentre Toto si soffermava a guardare quella della ferramenta in cui splendevano le lame dei coltelli, Annetta guardava già con attenzione quella dei prodotti della cosmetica.

Si ritrovarono con le madri per consumare un veloce panino con la porchetta e poi ripresero il loro girovagare piacevole.

Dopo un po', stanchi della confusione, si sedettero in un luogo leggermente appartato.

Iniziarono a parlare delle passate esperienze scolastiche e soprattutto della storia e della geografia, materie da loro predilette.

Questa volta, però, così come quando d'abitudine dovevano andare a pascolare le pecore, furono richiamati e costretti ad abbandonare le loro fantasticherie per riprendere la via di casa.

Questo colloquio particolare, interrotto sul più bello, li lasciò, per alcuni giorni, un po' svagati e sognanti.

Ardevano dal desiderio di rivedersi.

L'unica possibilità era legata alla messa domenicale nella chiesa di S. Maria del Castello.

Con la buona stagione era possibile affrontare l'impervia salita del Cerqtino che Toto faceva quasi di corsa.

I due giovani, vuoi per l'entusiasmo di rivedersi, vuoi per l'atmosfera quasi irreale che si respirava nell'antico borgo medievale sovrastato dalla speronata Rocca, sprizzavano gioia da tutti i pori.

Nelle loro immaginazioni storiche, ideate nel lento trascorrere del tempo, nell'attesa del ritorno a casa dopo il pascolo, più volte si erano visti protagonisti della concitata e sfolgorante vita dell'inaccessibile maniero scarpato.

Duelli all'ultimo sangue, strenue difese erano le frequenti azioni che dovevano compiere i castellani per difendersi dall'assalto dei feroci assalitori.

Ma lo stesso cavaliere che valorosamente emergeva in battaglia ,era l'appassionato menestrello che nei fastosi banchetti rimava parole d'amore per la sua innamorata. 

Il tempo per dare il volo alla fantasia, tuttavia, era poco quindi i nostri innamorati sotto le mura di cinta potevano scambiarsi solamente strette di mano e fugaci carezze. 

Con la cattiva stagione non era possibile neanche l'incontro settimanale.

Toto e Annetta erano presi dalla routine dei lavori domestici.

Si rividero a Natale, in occasione della solenne Messa di mezzanotte.

La chiesa era stipata fino all'inverosimile, nella luce fioca la vista dell'altare gli appariva non ben delineata.

Quando il parroco sollevò il candido manto posto sopra la piccola statua del Bambino Gesù, ad Annetta e a Toto sembrò si fosse compiuto un miracolo.

Nella penombra dell'altare non avevano notato l'immagine sacra coperta; si guardarono commossi e si strinsero la mano.

Il gesto era un tacito patto d'amore inatteso e per questo ancor più emozionante.

Durante le feste di Natale, Capodanno e Epifania non ebbero modo di rivedersi poiché un abbondante nevicata aveva bloccato le strade.

In quei frangenti la comunità rurale era ancora più unita e frequenti erano le occasioni per partecipare alle veglie.

Per gli adulti era l'occasione per scambiarsi informazioni di carattere prevalentemente agricolo, mentre i giovani si divertivano con i vari giochi.

Qualche volta erano offerti dei dolci o delle castagne. 

Vi erano, poi, dei singolari personaggi che per innata vena poetica improvvisavano dei versi a braccio o raccontavano episodi buffoneschi o tragici.

Riprendendo la trama delle commedie del Ruzante, tramandate per via orale, venivano narrate vicende comiche inerenti l'ancestrale fame dei contadini, la protervia dei ricchi e la ricerca esasperata del sesso.

A sfondo delittuoso erano, invece, i racconti della vita di Lucrezia Borgia, Beatrice Cenci, mentre molto sentiti, perché più recenti, erano i fatti di brigantaggio. 

Le vicende drammatiche che coinvolsero le terre marchigiane a confine con la Romagna erano legate alle penetrazioni che i briganti della banda del Passatore Cortese erano costretti a fare sotto l'incalzare delle guardie pontificie.

Le impervie e fitte boscaglie che si trovano nel territorio di Montepaganuccio, compreso tra i comuni di Cagli e di Acqualagna, e di San Lorenzo in Campo, erano un luogo ideale per nascondersi.

Ma oltre al riparo naturale, i briganti romagnoli, trovavano anche dei solerti fiancheggiatori lungo il tragitto della Flaminia che va dalle porte di Cagli ( le Foci) a quelle di Fano.

Da tempo immemore, infatti, i percorsi stradali, che erano costretti ad attraversare gole anguste, erano soggetti a pedaggi vessatori da parte di male intenzionati e rapinatori.

 

“O la borsa o la vita”

 

era l'alto là e nessuna reazione era tollerata.

E quando, allora, l'unificazione dell'Italia era in piena costruzione sotto lo stimolo degli ideali dello spirito risorgimentale, nelle lande della nostra povera terra compresa tra il Catria e il Petrano, di sera si sentivano gli acuti fischi d'intesa dei briganti, gli abitanti delle sparute case delle Foci di corsa riparavano nelle loro abitazioni.

Con quei crudeli banditi, disposti ad uccidere per poche lire, erano precarie anche le mura domestiche e allora non rimaneva che raccomandare l'anima al Signore. 

Per Carnevale il tempo era migliorato per questo fu possibile programmare un gran veglione presso la sala comunale. 

Il sindaco della liberazione, Pierino Raffaelli, era stato il capo dei partigiani che operarono nel comune di Frontone (avevano come base logistica la chiesetta della Madonna dell' Acquanera), ritenne opportuno, con tale scelta, dare un messaggio di solidarietà e speranza alla comunità frontonese prostrata dalla guerra.

L'evento fu talmente inatteso da mettere in subbuglio intere famiglie.

Toto aveva uno zio disperso in Russia, per cui a casa sua era proibito parlare di ballo .

Ma la madre, infine, riuscì a convincere il padre dell'innocenza dell'incontro festoso dei giovani, appellandosi, con grande spirito saggio e pratico, connaturale delle donne, al suo motto:

 

"la vita deve riprendere il suo corso".

 

Nel palazzo comunale una stanza del primo piano era stata adibita a spogliatoio e a deposito dei fagotti contenenti i dolci e fiaschi di vino.

Al secondo piano, nella grande sala comunale, su di un palco improvvisato, sedeva l'orchestra di pochi elementi: una fisarmonica, un clarinetto e la batteria.

Valzer, polche e mazurche creavano dei vorticosi giri, i fox spandevano ritmata allegria, mentre i melanconici tanghi creavano un 'atmosfera sentimentale vagamente erotica. 

Secondo la gran coreografa Pina Bausch ci sono dei momenti in cui si rimane senza parole: a questo punto ci si esprime con i gesti della danza. 

Nella sala, pur nel tramestio, questa sensazione era palpabile.

Le canzoni dei ricordi: Tornerai, Non dimenticar le mie parole, Una notte a Madera, Non sei più la mia bambina, E' arrivato l'ambasciatore, Un'ora sola ti vorrei, Ma le gambe, Maramao perché sei morto, Mille lire il mese, Venezia la

luna e tu ecc., diffondevano l'armonia nei cuori. 

L'Annetta e Toto, pur essendo al debutto nelle danze, si erano diligentemente preparati e ben presto si adattarono ai ritmi.

Era bello ammirare quel gusto dolce di gambe duttili nel ballo.

Per loro era più importante accarezzarsi con lo sguardo e fugacemente toccarsi con il corpo. 

A mezzanotte gli orchestrali si concessero un meritato riposo; era il momento, quindi, di aprire le preziose gluppe contenenti le castagnole e far circolare i fiaschi del vino.

Improvvisamente comparvero sul palco due maschere: una con i panni d'arlecchino e l'altra con quelli del pagliaccio.

I due improvvisati attori recitarono, con gran godibilità degli astanti, una scenetta che aveva come oggetto la fame, mai sufficientemente placata, dei poveri e dei diseredati.

I commedianti, in tale penuria di cibo, di tutto avevano bisogno fuorché di un languido caffè (la cosiddetta ciofeca dei tempi di guerra) loro offerta da una spiritosa cameriera.

In mancanza d'altro, facendo di necessità virtù, accettarono l'offerta della poco invitante e nera bevanda.

Quale non fu la loro felicità, quasi incredula, quando videro uscire dal bricco dei fumanti spaghetti.

Non attesero né il piatto né la forchetta e divorarono in un attimo l'intero contenuto della cuccuma servendosi delle mani.

Ai colori sgargianti dei loro costumi, così, si aggiunse quello rosso del pomodoro che imbrattava la bocca. 

L'ambiente carnevalesco contagiò anche i due giovani che approfittarono dell'allentamento della sorveglianza per uscire accampando una banale scusa.

Ritrovarono l'angolino del loro primo incontro, ma questa volta era completamente buio.

Ardentemente si baciarono dopo essersi avvinghiati in un lungo ed appassionato abbraccio.

Quel contatto gli spiazzò la mente e il corpo come un'ondata invisibile.

Di più non poterono trattenersi, ma ormai, dopo gl'infiammati sospiri volavano come inebriati. 

Ripensando a quel loro primo amoroso incontro si chiedevano se mai avrebbero potuto provare un'emozione simile: con il tempo compresero che quel vivo ed intenso turbamento sarebbe stato isolato in una condizione di intangibile unicità. 

Con mirabile maestria il sublime Giacomo Leopardi aveva nella poesia intitolata Il primo amore colto quest'ardente desiderio d'amore:

 

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,

spira nel pensier mio la bella imago,

da cui, se non celeste, altro diletto

giammai non ebbi, e sol di lei m'appago.

 

Con la ripresa economica dell'Italia postbellica, i confini del paese si allargarono :nuove opportunità di lavoro per tutti si presentavano.

Iniziarono le partenze per Roma, Milano, Francia, Belgio, Germania e Stati Uniti d'America. 

Quella che sarebbe stata la linfa vitale per la ricostruzione dell'Italia repubblicana si trasformò, invece, in un crudele distacco per Toto e Annetta.

L'emigrazione delle rispettive famiglie avvenne per lidi e tempi diversi.

Le cause dell'esodo dalla terra andavano ricercate, principalmente, nella cattiva rimunerazione del lavoro agricolo che, inevitabilmente, si ripercuotevano all'interno della famiglia contadina.

L'attesa per la nuova destinazione e la conseguente agitazione che ne derivava finì per offuscare l'anelito dei giovani cuori.

Capirono che le difficoltà per potersi frequentare erano enormi; il loro amore sincero era condizionato da un evento sconvolgente: il quasi spopolamento del paese. 

Ripensarono, allora, alla fiorita di Valpiana, al profumo dei narcisi.

Il loro sogno d'amore aveva quella fragranza e il lieve soffio di vento del primo bacio. 

Della solitudine del monte, del silenzio del bosco, che impedisce il cammino dell'odio conservarono il grato ricordo.

Silenzio che d'autunno, percorrendo i viottoli, era interrotto dal frusciare perciò sembrava che il bosco fosse gremito d'uccelli alla posta.

Nel tempo trascorso alla pendici del Catria erano stati immuni da sentimenti ed atteggiamenti istintivi di condanna; erano animati, invece, da un sincero comportamento tollerante.

L'attaccamento alla terra di Frontone sarebbe stato un filo che, seppur sottilissimo, li avrebbe sempre tenuti legati.

Con nostalgia avrebbero ripensato alla campagna dove qualsiasi cosa aveva un valore e le parole venivano consumate in un pasto comune.

Per i sentieri d'erbe odorose, dove vanno i ragazzi con le morose, non avrebbero più potuto vagare.

 

  

 LA MADONNA DELL'ACQUANERA

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M'ARCORDO