La pastorella illibata

Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI

 

 

Luciola era una graziosa brunetta non molta alta e paffutella (poteva essere definita traccagnottella).

Sin da piccola, con le sue rosee rotondità, invitava ad essere accarezzata e pizzicata per l'irresistibile desiderio di sondare la sua soda carnagione.

Ben presto, dovendo contribuire al modesto bilancio familiare, fu avviata a custodire un branchetto di una decina pecore.

Venne, in tal modo, a conoscenza del ciclo riproduttivo: un'educazione sessuale in piena regola senza ipocrisie e sotterfugi.

Questo faceva sì che, in accoppiamento con la sua indole paciosa, svagata, ma un po' civettuola, conservasse l'ingenuità dell'età anche quando alcuni maschietti, più grandi di lei, approfittavano delle sue morbide ed invitanti forme.

Crescendo in quest'arcadia pastorale, pur con il passare degli anni, non riusciva a trovare ostacoli morali tali da impedirgli di mantenere un rapporto piuttosto liberale con l'altro sesso.

I genitori, d'altra parte, presi com'erano dall'assillante lavoro campestre, non notavano l'atteggiamento senz'altro poco consono della figlia. 

Furono riportati, tuttavia, alla più cruda realtà quando Arduino scoperse per caso Luciola ed Elio che beatamente si congiungevano dietro una fratta dalle parti di Pianduce.

Elio, di ritorno dal monte, s'era visto comparire la fanciulla come una statua bellissima, fuori di un cespuglio.

 

“Come stai Luciola”, le disse, mentre il cuore pulsante quasi gli soffocava il respiro.

 

“Bene “ gli rispose la giovane, aggiungendo:

 

“non mi fai un po' di compagnia?”

 

Elio, allora, da una spontanea ispirazione preso, le dedicò una ballata di semplici versi espressivi:

 

“creatura dell'amore tu m'appari,

tanto il tuo viso luce spande;

in questa bucolica cornice dei monti,

al tuo invito resistere non so:

facciamo l'amore

prima che il sole tramonti”

 

Immediatamente la voce fece il giro del paese.

I genitori di Luciola, colti di sorpresa, e profondamente indignati dai salaci pettegolezzi, pensarono bene di reagire adeguatamente.

Si recarono a Cagli per cercare aiuto nelle legge, interpellando un avvocato, che potesse, in qualche maniera salvaguardare l'onorabilità della figlia (o almeno quello che rimaneva di essa).

Spergiurando Luciola che il consenso all'atto compromissorio le era stato strappato a viva forza, l'avvocato propose di accusare Elio di tentativo di violenza carnale.

Il legale, ovviamente, si guardò bene dal verificare approfonditamente la verità asserita dalla giovane pastorella: era importante, in quel momento, trovare l'inghippo, per giustificare la prebenda.

Scattò, così, la denuncia ed il malcapitato Elio, ultimo di una lunga serie di cavalieri serventi di Luciola, fu costretto ad assumere un'assistenza legale. 

Il dibattimento processuale si tenne presso la pretura d'Urbino.

Il Pretore, presa visione delle carte e dato uno sguardo ai contendenti, si fece subito, da perfetto conoscitore dell'animo umano, un'idea dell'accaduto.

Dopo le solite schermaglie procedurali tra gli avvocati difensori, il processo entrò subito nel vivo con la testimonianza d'Arduino.

Nel descrivere la scena che si presentò ai suoi occhi, forse per dare maggiore incisività al racconto, raffigurò la tenzone amorosa al sincronismo ritmato che in tale frangente sono soliti fare i conigli.

L'aula tutta, a cominciare dal Pretore, a questo punto fu come liberata dall'opprimente gravame dello stupro: Arduino, infatti, non riferì di avere sentito gridare Luciola come se fosse sopraffatta a viva forza.

Gli era sembrato, invece, udire dei gridolini gioiosi.

Diede, inoltre, maggior forza espressiva al suo racconto, dicendo:

 

“Elio sculettava come un cunile”.

 

Un' espressione sorridente invase gli attenti spettatori che assistevano al processo, e mentre i genitori della giovane si rabbuiavano, Luciola conservava il suo solito aspetto sereno.

Con atteggiamento quasi di sfida, sicura della vittoria che si sarebbe trasformata, per lei, come in un sicuro lavacro dei suoi trascorsi incontri d'amore, sembrava estranea al processo.

Si era agghindata come per partecipare ad una festa e con il busto diritto e le sue procaci forme si atteggiava a diplomata di seno colmo. 

Si passò, quindi, ad interrogare Elio.

Il giovane, rosso in viso per l'emozione, senza mezzi termini, si difese dicendo che la sua amante era pienamente consenziente.

Su suggerimento del nonno Bastiano, inoltre, per ulteriormente avvalorare la sua tesi, disse:

 

“con tutto il rispetto per la corte

il proverbio dice che:

guaina che trema

spada non entra”.

 

Per il monte andando

tutta soletta trovai la pastorella;

confesso, un fiore,

come il soave miele profumato,

con spontaneità offerto,

dal suo grembo tolsi:

ma il più bello non lo colsi.

 

Il padre di Luciola, a questo punto, preso in contropiede, non poté trattenersi e a difesa dell'illibatezza della figlia se ne venne fuori con una frase che, secondo i suoi calcoli, avrebbe fatto pendere il piatto della bilancia sicuramente dalla sua parte:

 

“la pora Luciola mia urinava 'n tel collo d'n fiasco”.

 

Ma Elio, di rimando, altrettanto sicuro del fatto suo, gli rispose:

 

“si co' la petria”.

 

Una fragorosa risata, a questo punto, invase l'aula e fu molto difficile mantenere un contegno serio anche al Pretore.

 

  

Castelplanio 06.12.02

  

 IL LUNEDI DELL'ANGELO

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 UNA DIMENTICANZA SOSPETTA