Il pianto di via dei fabbri |
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Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI |
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Chiarore della luna sulla fredda terra appena innevata, notte senza ombre disciogliere non puoi il fitto conversare, dei fratelli ventenni, in allerta, per la chiamata, di terribili presagi certa.
“Facciamo, o Arturo, due castagnole, per rallegrar la serata, tanto, ormai, tramontato è il desiderio di far una dolce serenata”.
“Va bene , Menchino, è quel che ci vuole per scacciar foschi pensieri e i cuori render più leggeri”.
Con gesti calmi, nell'angusta cucinetta, il rustico dolce, prende forma , colore, e di miele divien odoroso ; le parole non servono per degustarne, squisitezza e sapore.
La fugace euforia dell'aspro bianchetto invita all'immaginazione delle future destinazioni; s'affievoliscono, repentinamente, le giovanili illusioni.
Menchino nei Balcani, Arturo in Sardegna queste sono le inappellabili assegnazioni generatrici, sicure, di ansie e trepidazioni.
Rare e censurate ,le notizie, le angosce della famiglia accentuano; l'Italia è prostrata, nuda e impreparata ad affrontare un conflitto di soverchiante portata.
Si disperdono i fratelli fabbri, mai più al paese i loro corpi ritorneranno; morte annunciata per difendere, la Nazione che dal ventennio fascista nei suoi alti valori, dalla comune schiavitù, era stata umiliata.
Nel giusto avean vissuto, nel giusto eran morti, non cercavan la gloria delle bandiere, eran morti senza sapere.
Penzolante alla parete la giacca di Menchino sole, in un angolo, le scarpe d'Arturo; col capo di dolor bruciante, muta è la casa in via dei Fabbri ché il pianto è soffocante.
Castelplanio 19.09.02
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