Sacra promessa

CATERINA - ANTONIO

Testimonianze della vita di paese durante il periodo bellico e postbellico attraverso notazioni di costume, quadretti all'aria aperta, reminiscenze fiabesche colti senza la pretesa di trasfigurarli e nobilitarli nei termini dell'immaginazione poetica tradizionale. di GIORGIO PARAVENTI

 

 

Antonio Paraventi e Caterina Baldelli iniziarono a frequentarsi nell'ottobre del 1893, quando cominciarono la prima elementare.

Rispetto ai loro coetanei erano dei fortunati, poiché si accingevano a compiere un breve ciclo di studi in un periodo in cui l'analfabetismo a Frontone era diffusissimo.

L'assiduità alle lezioni era un pò saltuaria, sia perché dovevano portare a termine gl'improrogabili impegni domestici e vuoi anche per la difficoltà di raggiungere la scuola, che si trovava al Castello, nei giorni di maltempo.

In ogni caso i nostri giovani, quando lasciarono la scuola in terza elementare, sapevano leggere e scrivere bene. 

Gli anni della fanciullezza furono felici per loro, anche se l'assidua laboriosità delle rispettive famiglie non gli concedeva un attimo di tregua da dedicare ai passatempi giovanili.

Antonio aiutava il padre Nazareno nella bottega da fabbro ferraio di Buonconsiglio e ben presto ne divenne un valido aiuto.

La famiglia di Nazareno Paraventi era allietata da ben sette figli; per questo la bottega, in poco tempo, fu insufficiente ad assicurare un reddito adeguato a tutti.

Nel giro di qualche anno, perciò, Pasquale, Edoardo, Onesto, Lucia,

Maria, Adelelmo emigrarono negli Stati Uniti d'America. Ammaliati dal sogno americano che tra il 1903 e il 1905 vide partire 67.000 marchigiani, espatriarono.

Il malessere provocato da questo espatrio in massa fu molto doloroso per la famiglia.

Né per i genitori il distacco fu mai attenuato dalle confortevoli notizie riguardanti il loro benessere, provenienti dai figli lontani.

Caterina, figlia di un piccolo coltivatore diretto che a stento riusciva a far quadrare il bilancio familiare con il suo fazzoletto di terra, assiduamente s'impegnava nell'economia domestica.

La nonna, secondo una tradizione antichissima, aveva già badato a trasmettergli i segreti indispensabili per produrre un buon formaggio col latte della pecora.

Di fondamentale importanza era la preparazione del "presame" o "caglio" (complesso enzimatico responsabile della cagliatura del latte) ottenuto, in genere, dallo stomaco degli agnelli o dei vitellini da latte.

Era poi il sapiente e tranquillo spurgo della forma che assicurava l'adatta grana della pasta per un'equilibrata stagionatura. 

Con Antonio s'incontravano periodicamente.

Nel ritornare ognuno alla propria abitazione, avvicinandoli, era facile annusare una sensazione di fumo leggermente acre, tipica dell'ambiente della bottega, in Caterina, mentre Antonio olezzava di latte, di cascio e di siero. 

Il legame, tuttavia, non fu mai profondo per causa di Antonio, che, di fronte alle esplicite richieste di Caterina, tergiversava. 

Si deve sapere, infatti, che l'attività del fabbro si era estesa anche verso casolari sparsi dei comuni limitrofi, dove si dovettero installare dei travagli supplementari.

Gli animali, soprattutto gli asini, erano accompagnati alla ferratura dai figli o dalle figlie dei proprietari.

Era proprio verso queste ultime alle quali Antonio dedicava la sua assidua attenzione.

Dotato di una sciolta parlantina (sarà in seguito soprannominato "avvocato Bizziccari" in omaggio ad un noto penalista di Pesaro, la cui fluviale oratoria era proverbiale) e di bella presenza, Antonio non trovava difficoltà ad amoreggiare con le disponibili donzelle. 

Di questo comportamento eccessivamente disinvolto di Antonio ne soffriva atrocemente Caterina considerandosi, in cuor suo, l'unica fidanzata .

L'esuberante Antonio, d'altra parte, evitava sempre, con abili parole, di far raffreddare il rapporto affettivo con Caterina, ma non parlava mai di matrimonio.

Costretto a farlo ne giustificava il ritardo con la scarsa disponibilità economica.

Questo argomento non era sicuramente confutabile poiché nella bottega del fabbro il lavoro non mancava di certo, ma il pagamento il più delle volte era effettuato in natura sotto forma di baratto.

Ad avvalorare l'estrema indigenza di quei tempi può concorrere il ricordo dell'usanza di regalare, se invitati ad un pranzo di nozze, una semplice salvietta, recante, come unico abbellimento, le iniziali della sposa.

Se, tuttavia, per cause fortuite si era impossibilitati a parteciparvi, il modesto regalo era ripreso. 

Alla fine del 1914 l'Italia dichiarò guerra all'Austria dopo avere superato difficoltose controversie in Parlamento. 

Antonio fu richiamato e partecipò alle campagne del 1916,1917 e 1918 con l'incarico di addetto alle mitragliatrici e come maniscalco.

La meccanica delle mitragliatrici di allora (Maxim 1906 e 1911) era complessa (basti pensare che il raffreddamento era ad acqua) e Antonio, in virtù della sua provetta professionalità, era in grado di compiere un'adeguata manutenzione.

Il maniscalco, poi, lo faceva in scioltezza, anche se aveva a che fare con la notevole stazza dei muli. 

L'offensiva italiana del maggio del 1917 aveva portato notevolmente avanti le nostre linee, ma lo sforzo compiuto aveva logorato le truppe.

Truppe fresche austriache, così, iniziarono una controffensiva trovando scarsa resistenza nelle posizioni italiane non ancora consolidate.

Ma il generalissimo Cadorna si mostrava fiducioso di risolvere la guerra per suo conto.

A maggio promosse la decima battaglia dell'Isonzo, a giugno l'undicesima e ad agosto la dodicesima.

Gli italiani riportarono "una" vittoria, ma non "la vittoria".

Perdettero in pochi giorni 100.000 uomini.

Si fermarono dissanguati e all'entusiasmo subentrò lo scoramento, le cui conseguenze si sarebbero dimostrate nefaste.

La dodicesima battaglia dell'Isonzo fu la vera prefazione di Caporetto (24-29 ottobre). 

In questi mesi cruciali che precedettero la disfatta, Antonio oppresso dalla pesante atmosfera bellica, si sentiva attaccato alla vita più che mai: aveva tanta nostalgia di Frontone e gli mancavano i dolci colloqui con Caterina.

Caterina, che con la sua semplicità e schiettezza ora lo comprendeva in pieno, gli aveva trasmesso un sereno affetto, solido e rasserenante.

Le scrisse allora una cartolina piena di struggente malinconia passionale.

Fu tale la gioia di Caterina nel ricevere quella posta che non rispose subìto ;non voleva dimostrarsi troppo avventata nel riconfermargli il suo amore.

Poi, il 18 aprile del 1917, indirizzò ad Antonio un bellissima foto-cartolina a colori.

Il soggetto della cartolina, di una freschezza commovente, era già di per se stesso una dichiarazione d'amore.

Due innamorati sono ritratti al limitare di un frondoso bosco.

La donna è seduta su di un grosso tronco cosparso di roselline di bosco, è sorridente e visibilmente soddisfatta.

L'uomo, lievemente, pone le mani su di lei quasi a volerla proteggere dalla nuvolaglia che s' intravede sullo sfondo.

Gli abiti, stranamente, non sono in armonia con i personaggi; dei giorni feriali per la donna (porta anche il grembiule), dei giorni di festa per l'uomo, estremamente elegante con la camicia dal collo rigido, cravatta, gilet bianco e giacca a tre bottoni.

Ai piedi della donna vi è un gran libro aperto con le pagine bianche, pronto ad essere completato con le date e le foto dei loro futuri radiosi giorni d'amore.

A suggello dell'idilliaco incontro compare una frase che è quasi un'epigrafe:

 

“D'amarti sempre fò sacra promessa”.

 

Il messaggio di Caterina, nel retro della cartolina, è in buon accordo con la foto e, liberata dall'incertezza riguardante i sentimenti di Antonio, con esultanza le conferma tutta la sua gioia amorosa.

Si definisce "indimenticabile" avendo in mente, certamente, che essa non l'aveva mai dimenticato.

E poi lo ringrazia per avere pensato a lei proprio nei momenti di maggior pericolo.

Proseguendo vuole ricordare ad Antonio le sue, ormai, passate pene provocate dal suo superficiale comportamento. 

Lo fa con il sorriso sulle labbra:

 

“come hai fatto a ricordarti di me Antonio”, le dice.

 

Sembra voler affermare:

 

“Antonio con l'invio di questa tua cartolina vedo la consacrazione del nostro amore,ma il mio smarrimento, di tenerezza pieno, è talmente confuso da lasciarmi quasi incredula”.

 

Brevemente passa ai saluti impreziosendoli con

 

“caldi baci e cose affettuose”.

 

Conscia, infine, della drammaticità della guerra le dice

 

“addio”.

 

Usa questa forma definitiva di saluto unicamente per esorcizzare la paura della guerra e mai pensando ad un'irreparabile separazione.

 

 

Caterina

Qui,

dove la vita,

da un momento all'altro,

par che fugga,

dove muti divengono i pensieri

su questa pietra bruciata,

dove aleggia la guerra nera,

la tua quieta voce,

il tuo agreste profumo ,

il tuo sembiante,

ricordo leggeri.

 

Ho nostalgia delle belle contrade,

del verde terreno,

dai nostri lievi passi,

percorsi, sotto il cielo sereno.

 

T'ho amato con vaghezza,

t'amo, ora,

con struggente dolcezza.

 

Ti sfioro con un bacio

il roseo volto,

o fanciulla bellissima e deliziosa,

la tua immagine,

giammai mi dà posa.

 

 

Castelplanio 27.11.02

 

 

Antonio

 

Nel grigio moto dei giorni,

in quest'opaco verde,

il cuor più non distingue

quel caro canneto,

che di nostre dolcezze fu pingue.

 

In silenzio ti piango.

Passerò tristemente questo tempo di guerra.

Tra la polvere e il sudore

della trincea,

la tua desiata Itaca

t'esorto a veder in me,

all'epilogo della crudel odissea.

 

Non esporti all'ombra cupa

del gelido orrore,

fai che tutto nel vento

si dilegui il timore.

 

 

Castelplanio 25.03.04

 

 

 

 DENSA MALINCONIA DEL FABBRO

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